Lo scorso fine settimana abbiamo avuto l’onore di ricevere l’ultima visita del suo mandato da parte dell’Ambasciatore Roberto Colaminè, arrivato in Nigeria nel settembre del 2009 e in uscita a metà gennaio 2014.
Sono stati due giorni intensi, non solo per i luoghi visitati, pieni di storia, sofferenza per quanto accaduto e accade, ma anche di speranza che qui non ha paura di rinascere ogni giorno. Abbiamo assistito a qualcosa di importante, ad una riconoscenza che tutta la città di Jos (le istituzioni, la società civile, semplici cittadini) ha voluto dimostrare a questo nostro ambasciatore che per primo e più di altri ha lavorato affinché la crisi del Plateau non rimanesse lettera morta su qualche articolo di giornale. Nella cena di saluti, a cui hanno partecipato circa 150 persone – un numero molto superiore al previsto! – ci sono state due standing ovation per l’ambasciatore che hanno veramente emozionato lui e tutti noi che eravamo presenti lì. Le immagini che scorrevano sullo schermo dell’impegno espresso dall’Ambasciata italiana verso Jos e anche verso il lavoro di Apurimac hanno fatto il resto.
L’agenda dei due giorni ci ha visto con lui in visita nella comunità di Dogon Karfe e Congo-Russia, a colloquio con il capo imam Dauda e con l’arcivescovo Kaigama, poi sul terreno a dare manforte alla finale del torneo di calcio Chrislam e infine alla cena di saluti.
Senza nulla togliere all’importanza politica ed al rilievo dei colloqui privati con l’imam e con l’arcivescovo, che ci hanno dato la possibilità di sviscerare ancora la complessità della crisi della middle belt nigeriana, le visite maggiormente sentite sono state quelle nelle comunità.
Quella di Dogon Karfe è una delle zone più povere della città. La povertà urbana è particolarmente disastrosa, diviene miseria perché presto si accompagna a tutti i problemi sociali legati alla bassa occupazione, alla disgregazione delle tradizioni, all’abuso di droghe pesanti. Per non farsi mancare niente, Dogon Karfe è stata distrutta ed incendiata più volte nel corso delle crisi e dunque le case assumono forme maledette, come quei castelli diroccati che sembrano carcasse di elefanti abbandonati per strada. Dogon Karfe è a maggioranza musulmana. I cristiani oggi vivono dall’altra parte della strada, divenuta linea di demarcazione di due campi distinti. Tutto quello che è rimasto nel mezzo di questo scontro assurdo è andato in malore: il pozzo – prima utilizzato dalle due comunità – si è prosciugato, la chiesa incendiata, la moschea distrutta. Si è salvato solo il mercato del mattatoio che fu il grande mercato dell’unione e che è oggi di esclusivo accesso ai cristiani ed uno dei punti più caldi del conflitto in questa parte della città. Il mercato del mattatoio sarà uno dei prossimi principali temi su cui agire per Apurimac a Jos. Il tasso di disoccupazione di Dogon Karfe raggiunge il 95%. Nessuno lavora, nessuno sa come spendere il proprio tempo in quella disperazione e questo è evidente negli sguardi persi dei ragazzi che la abitano. Passeggiamo per i vicoli miseri di quei luoghi, tra squallidi rivoli e racconti di violenze. La mia sensazione è quella dell’abitudine, come di uno che ha già visto e già sentito parlare di certe cose. Eppure è in quei luoghi che mi riconcilio con il mio essere e con il senso di quanto facciamo, perché è da quei rivoli e da quegli sguardi che si intravede qualcosa di positivo, che non può essere spiegato, perché deve essere vissuto in prima persona. Questa sensazione la chiamo comunione, ovvero sentirsi una cosa sola con tutti gli uomini e le donne di questo mondo, specialmente nella sofferenza. Perché è da lì che inizia la rinascita.
Nella comunità di Congo-Russia siamo invece passati davanti al luogo dove tutto è cominciato a Jos, tutte le violenze dirette tra nigeriani. Quelle indirette – da lavoro, da fame, da sopruso – ci sono sempre state e forse sempre ci saranno. Quelle dirette perpetrate dagli inglesi in regime coloniale anche.
Quel luogo è una moschea d’avanti alla quale un venerdì del 2001 passava una ragazza all’ora sbagliata. Quelli in preghiera non la fanno passare, la spintonano, il padre della ragazza interviene e viene insultato e malmenato. Il giorno dopo lo Stato di Plateau si incendia. Oggi Congo-Russia è una delle comunità miste più pacifiche. Hausa e Berom si sono riconciliati e vivono di nuovo fianco a fianco, ricostruendo insieme quello che insieme hanno distrutto. Forse si sono resi conto che i morti, gli incendi, la sofferenza, la segregazione non sono stati altro che un brutto sogno.
O forse si sono accorti che tutti loro non sono stati altro che pedine in mano ad abili giocatori che avevano altre mire, in una partita che nessuno a Congo-Russia avrebbe mai voluto giocare.